Il cammino del mago

Titolo: Gormenghast (Gormenghast).
Scrittore: Mervyn Peake,
Genere: surreale, commedia, drammatico.
Editore: Adephi.
Anno: 1950.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


Alcuni mesi fa ho pubblicato la recensione di un libro comprato un po’ alla cieca, per via di alcuni pareri positivi trovati online: si trattava di Tito di Gormenghast di Mervyn Peake.
La valutazione era stata eccellente, tanto che ho comprato anche il suo seguito: Gormenghast.

Stiamo andando un po’ indietro nel tempo, dal momento che il primo è datato 1946 e il secondo 1950, con i due libri i quali, seguiti poi da Via da Gormenghast, hanno costituito una trilogia che alcuni critici e lettori hanno paragonato per ampiezza e potenza visionari a Il signore degli anelli.

Va precisato intanto che il genere è di difficile collocazione: non si tratta di fantasy, e nemmanco di narrativa fantastica se è per quello, visto che in Gormenghast non ci sono elfi, magie o mostri. Più genericamente lo si potrebbe inscrivere nel genere surreale, posto che tanto i personaggi quanto gli eventi descritti hanno un sapore decisamente bizzarro, peraltro conditi da un lessiccheggiare altrettanto inusuale e vivace.

In realtà Gormenghast e compagni più che libri sembrano degli affreschi, e probabilmente non è un caso che Mervyn Peake fosse un disegnatore e pittore.
I personaggi che popolano il castello di Gormenghast sono tratteggiati con abili pennellate, e così il mondo interno ed esterno al castello dei De’ Lamenti, la stirpe nobiliare che domina quel luogo fuori dal tempo e dallo spazio, tanto fuori che, leggendo, sembra che non esista altro.

Mervyn Peake peraltro è uno scrittore coraggioso, che non esita a mettere fuori gioco personaggi così ben caratterizzati per proseguire la narrazione in certi binati, e difatti il tono del racconto, a tratti fiabesco, è comunque costeggiato da morti e incidenti vari.

In Gormenghast il tono della storia si fa leggermente più lugubre e cupo, tra omicidi, cospirazioni e disastri naturali, mentre in Tito di Gormenghast a prevalere era il senso del comico e del bizzarro, soprattutto grazie a personaggi come il dottor Floristrazio, le gemella Cora e Clarice, mamma Stoppa, il maggiordomo Lisca, etc.

Alcuni di essi, invece, vengono a mancare, in parte sostituiti da nuovi personaggi e ambientazioni (ma sempre all’interno dell’infinito castello di Gormenghast!), come il preside Carampanio.

Sullo sfondo di tutto e di tutti, prosegue, e anzi diventa sempre più aggressiva, la machiavellica cospirazione di Ferraguzzo, che movimenta decisamente il tutto, rendendo il secondo libro più dinamico e vivace nell’azione, anche se forse meno ispirato relativamente a personaggi e dialoghi… ma lo sto confrontando con un predecessore mica da poco, forse il libro più riuscito dal punto di vista dei dialoghi che abbia mai letto.

Insomma, anche se ho gradito leggermente meno il secondo romanzo rispetto al primo (entrambi piuttosto corposi), consiglio la lettura tanto di Tito di Gormenghast quanto di Gormenghast. E certamente non mi farò mancare il conclusivo libro della trilogia di Mervyn Peake.
Buona lettura a tutti.

Fosco Del Nero


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Titolo: La coscienza di Zeno.

Scrittore: Italo Svevo.
Genere: commedia, psicologico.
Editore: Einaudi.
Anno: 1922.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.


Negli ultimi mesi, tra un romanzo fantasy e un testo di saggistica, sono comparsi su Libri e Romanzi anche alcuni classici, tra cui Il fu Mattia Pascal, I Malavoglia, Madame Bovary, Il piacere, etc.

Quest’oggi va a far loro compagnia un altro grande classico della letteratura italiana: La coscienza di Zeno di Italo Svevo.
Si tratta, peraltro, di uno tra i libri che ho preferito in assoluto per via della sua vivacità intellettuale e della sua ironia.

Si tratta inoltre del libro conclusivo della trilogia che Italo Svevo ha dedicato alla figura dell’inetto, e segue Una vita e Senilità.

Per chi non avesse mai letto La coscienza di Zeno, ecco in sintesi la sua trama: Zeno Cosini è un uomo benestante, che tuttavia, anche a causa del rapporto conflittuale con suo padre, ha sviluppato una sorta di malessere esistenziale, che si rifletterà in praticamente ogni ambito di vita.

In cura da uno psicanalista, il dottor S., inizierà dietro suo consiglio a scrivere un diario, che poi gli consegnerà per aiutarlo nella diagnosi.
A seguito dell’immotivata interruzione della psicoterapia, il suddetto dottore, ferito nel suo orgoglio professionale, si vendicherà pubblicando le memorie del paziente, che vanno a ripercorrere tutta la sua vita, benché non in senso cronologico, quanto analogico, ossia seguendo argomenti, spunti e collegamenti.

Capitolo dopo capitolo, si viene così a scoprire la figura di Zeno Cosini, in relazione al suo rapporto col padre, al suo matrimonio, alla sua amante, agli affari, al vizio del fumo (celeberrima ormai la sua “ultima sigaretta”).

Di impianto narrativo molto originale e innovativo, La coscienza di Zeno è il capolavoro indiscusso di Italo Svevo, che ha reso celebre tanto il personaggio di Zeno Cosini quanto la figura del’inetto da lui rappresentata. Sorta di prolungamento della corrente letteraria decadentista, da essa si separa tuttavia per la narrazione più moderna e temporalmente “disciolta”, nonché per il passaggio dalla tragicità esistenziale all’incapacità di vivere, vista con occhi ironici.

Dopo tutto il bailamme psicologico-analitico, peraltro, Zeno scopre che la sua malattia lo rende capace di autoanalisi e quindi di miglioramento, mentre il resto del mondo, cosiddetto "normale", prosegue identico a se stesso, senza dunque alcuna evoluzione.
Da qui passa la presa di coscienza e l’accettazione dei propri limiti.

In conclusione, La coscienza di Zeno di Italo Svevo è un romanzo ricchissimo di spunti psicologici e di ironia, abbinamento che personalmente troppo assai gradevole.

Fosco Del Nero


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Titolo: La torre di tenebra (The tower of fear). Genere: fantasy, drammatico, fantastico.
Scrittore: Glen Cook.
Editore: Sonzogno.
Anno: 1989.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



Dopo un classico (Il fu Mattia Pascal), torniamo alla narrativa fantastica, con un romanzo fantasy spurio: La torre di tenebra, libro scritto da Glen Cook nel 1989.

Dico spurio perché siamo ben lontani dal genere fantasy avventuroso di J.R.R. Tolkien, dal fantasy di formazione di J.K. Rowling, dal fantasy eroico di R.E. Howard e pure da quello epico di E.R. Eddison (a proposito, che occorra per forza avere due nomi per scrivere fantasy?).

Difatti, La torre di tenebra punta tutto sulla psicologia dei personaggi, nonché su una trama socio-politico-diplomatica veramente fitta.
In questo senso, l’autore più vicino tra quelli che conosco è probabilmente Steven Erikson.

Ma andiamo subito a vedere la trama de La torre di tenebra, storia ambientata in un mondo immaginario, e specificatamente nella città di Qushmarrah, nella quale agiscono, per farla breve, tra forze contrastanti: gli Erodiani, gli occupanti che anni orsono la conquistarono; la Vivente, la resistenza locale; i Dartar, i guerrieri mercenari provenienti dal deserto al servizio delle forze di occupazione.

Se questo è il triangolo di fondo, i personaggi che vanno a popolarlo sono tantissimi, e a molti di loro è dedicato un punto di vista privilegiato, tanto da avere spessissimo dei cambiamenti di ambientazione o di stile narrativo.

Cito solo i principali: Aaron Habid e la sua famiglia di onesti lavoratori; Nazsif bar bel-Abek, altro lavoratore indigeno, ma dal passato oscuro; Yoseh, giovane guerriero dei Dartar; Nakar, stregone sospeso tra la vita e la morte, che la strega sua amante sta cercando di resuscitare per riprendere il controllo della città; Cado, conquistatore di Qushmarrah e ora governatore militare delle forze di occupazione; Sullo, governatore civile degli Erodiani; il Generale, l’anziano leader della Vivente; Azel, guerriero-sicario tanto testardo quanto scaltro…

… e poi i vari referenti dei vari quartieri di Qushmarrah, i vari soldati Dartar o Erodiani, etc.

Insomma, il quadro è molto variopinto, tanto che per una buona metà del libro (che peraltro è abbastanza lungo) si fatica a orientarsi tra i numerosi nomi, dovendo consultare a più riprese l’elenco di “partecipanti” a inizio volume.
Questo è un difetto non da poco, perché rischia di far desistere dalla lettura un 50% dei lettori, e di far proseguire confuso e poco coinvolto il restante 50%, come per l’appunto é successo a me.

E questo è stato un peccato, perché la trama c’è, l’introspezione psicologica dei personaggi pure, l’ambientazione è ugualmente ben caratterizzata (a tratti sembra davvero di essere a Qushmarrah).
Sarebbe dunque bastato curare maggiormente l’aspetto del coinvolgimento del lettore per ottenere un signor romanzo.

Rebus sic stantibus, invece, La torre di tenebra di Glen Cook rimane un fantasy socio-politico interessante e fuori dal coro dei soliti romanzi fantasy tutti elfi e magie, ma sfortunatamente privo di un certo appeal.
Sufficienza stiracchiata, dunque.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il fu Mattia Pascal.
Genere: commedia, psicologico.
Scrittore: Luigi Pirandello.
Editore: Einaudi.
Anno: 1904.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.


Dopo tre libri contemporanei (Il signore delle illusioni di Tanith Lee, Folle estate di Giulio Pinto e La vampira di Marte della stessa Tanith Lee), ritorniamo ai classici, e lo facciamo con uno dei romanzi italiani più importanti di tutti i tempi: Il fu Mattia Pascal, di Luigi Pirandello, libro pubblicato nel 1904.

Peraltro, si tratta di un libro che ho sempre gradito moltissimo fin dai tempi del liceo, pregno com’è di intelligenza e ironia.

Andiamo subito a tracciarne in breve la trama, in realtà assai fitta, e peraltro raccontata come in un grande flashback: Mattia Pascal, giovane nato e vissuto in un paesino della Liguria, viene a trovarsi nella situazione di doversi inventare una nuova identità, dopo che il ritrovamento di un cadavere che gli somiglia tantissimo lo fa dichiarare morto.

Dapprima intenzionato a tornare in paese per dichiarare a tutti che è ancora vivo (ha appreso la notizia leggendo un giornale sul treno), poi decide di lasciar le cose come stanno, onde evitare i problemi economici e relazionali lasciati a Miragno, incoraggiato in ciò anche da una recente e fortunata vincita al casinò di Montecarlo.

Intorno a Mattia Pascal, tra una vita e l’altra (la seconda sotto il nome di Adriano Meis), girano numerosi personaggi: Oliva e Romilda, ragazze con cui ebbe una relazione, Malagna, l’amministratore infingardo del patrimonio familiare, la vedova Pescatore, Anselmo Paleari, la signorina Caporale, etc.

I temi affrontati da Il fu Mattia Pascal sono diversi: la fortuna, l’amicizia, le possibilità di vita.
Tutti temi importanti, anche se ciò che mi ha fatto amare Pirandello, così come capitato con Italo Svevo, per citare un altro grande della letteratura italiana, è stato lo stile ironico e leggero con cui ha tratteggiato i suoi personaggi e gli eventi loro connessi.

Da sottolineare anche l’importanza storica del romanzo di Pirandello, manifesto del nuovo romanzo novecentesco basato sul prolungamento e sullo studio della figura, romantica e decadente, dell’inetto a vivere (Mattia Pascal ha fama di sfaccendato buono a nulla), inserito però nel nuovo contesto economico.

Se per D’Annunzio la vita era arte ed estetismo, per Pirandello l’arte letteraria è vita (come egli ebbe modo di dire: “la vita o si vive o si scrive”).

Come sempre i gusti personali fanno la differenze nel gradimento di questo o quello scrittore o libro, ma di mio ho sempre trovato che Il fu Mattia Pascal è un romanzo intelligente, ricco e assai gradevole nel suo incedere… oltre che un libro che può insegnare qualcosa a chi lo legge.

Fosco Del Nero


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Titolo: La vampira di marte (Sabella).
Genere: fantascienza, horror, drammatico, psicologico.
Scrittore: Tanith Lee.
Editore: Newton Compton.
Anno: 1980.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


Da poco ho recensito un libro di Tanith Lee, ossia Il signore delle illusioni.
Si trattava di un libro che avevo in casa da parecchi anni, e che avevo tentato di leggere da adolescente, rimanendone tuttavia deluso e interrompendo la lettura.

Con la maggiore pazienza della maturità sono riuscito a finirlo…
… ma anche stavolta non mi è piaciuto.

Avevo deciso di lasciar perdere Tanith Lee, dunque, considerandola poco affine al mio gusto, benché scrittrice importante e affermata.
Su consiglio di un lettore del blog, tuttavia, mi sono accostato a La vampira di Marte, testo che ugualmente avevo a casa de anni: stavolta il risultato è stato migliore, per quanto non entusiasmante.

Intanto, il genere è cambiato, coerentemente con la grande flessibilità della scrittrice, che spazia tra fantascienza, fantasy e horror.

Se Il signore delle illusioni si situava tra fantasy e drammatico, La vampira di Marte si sistema tra fantascienza e drammatico. Verrebbe quasi da dire horror, dal momento che, come testimonia il titolo italiano (peraltro mediocre), l’argomento centrale del romanzo è il vampirismo, tuttavia il focus dell’opera è più introspettivo-psicologico che orrorifico.

Ma andiamo a vedere in grande sintesi la trama de La vampira di Marte: Sabella Quey è una ragazza che vive su Novo Marte, pianeta colonizzato dall’umanità in un imprecisato futuro, ma che, soprattutto, è una vampira: a un certo punto della sua vita, difatti, ha sentito la necessità di nutrirsi di sangue umano, fatto che abbina immancabilmente al sesso, nel senso che essa attira gli uomini in un rapporto da cui lei si nutrirà e che invece loro dimenticheranno, conservando solo una vaga sensazione di piacere.

Le cose per Sabella si complicano quando uccide per sbaglio il suo amante Sabbia Vincent, che verrà cercato dall’inquietante fratello Jace Vincent.

Il libro è certamente ben scritto, e l’autrice riesce a catturare abbastanza bene l’attenzione del lettore, anche senza la forza trascinante di altri romanzi.
Detto che l’elemento fantascientifico alla fine è ridotto allo sfondo del paesaggio, e che quello orrorifico sta più nel genere vampiresco che non nella narrazione, La vampira di Marte risulta interessante per l’aspetto introspettivo del personaggio di Sabella, a cui poi si uniranno le incerte motivazioni di Jace.

Nel complesso, La vampira di Marte di Tanith Lee non mi è dispiaciuto, anche se non mi ha esaltato.

Fosco Del Nero


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Titolo: Folle estate. Genere: commedia.
Scrittore: Giulio Pinto.
Editore: Gruppo Albatros Il filo.
Anno: 2011.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.


Il libro recensito quest’oggi è il romanzo di un giovane scrittore italiano, Giulio Pinto, che proprio nel 2011 è uscito in libreria, edito dal Gruppo Albatros Il filo, con Folle estate.

Andiamo subito a vedere in grande sintesi la trama del libro.
Folle estate racconta le vicende estive di una coppia, Samuele e Silvia, il primo vicecommissario e la seconda insegnante.
Passioni dei due: la Juventus nel primo caso e l’ippica nel secondo.

Questi quattro campi (questioni di polizia, questioni di scuola, questioni di calcio e questioni di cavalli) sono i principali argomenti del romanzo, che con le sue 360 pagine è piuttosto lungo, anche se affiancati da tutta una serie di episodi minori.

Curiosamente, quasi tutti legati alla delinquenza… con i protagonisti della storia che sono i primi a non rispettare la legge.
Ecco così che si assiste in rapida successione a tutto un repertorio di scorrettezze morali e legali, come: concorsi truccati, commissari d’esame corrotti, scherzi ad personam con l’autovelox, uso di sirene fuori servizio, professori che fanno i compiti d’esame ai ragazzi, spacciatori non arrestati per fare favori ad amici, corruzione di finanzieri, truffa di quadri, trafugamento di beni artistici nazionali, corruzione di presidi, multe non messe a motociclisti amici che andavano a 150 all’ora, etc.
Forse l’apice lo si raggiunge con una sorta di una corruzione-estorsione incrociata tra un medico e un poliziotto.

Insomma, il quadretto etico che ne esce non è proprio dei migliori (per non dire che è squallido), specie perché a fine testo esso viene rafforzato dalla morale per cui c’è sempre qualcuno che la fa più grossa di noi (nella fattispecie i delitti di stato), per cui al confronto le nostre scorrettezze sono meno importanti e non ce ne dobbiamo curare troppo e curarci solo dei nostri interessi.

Sfortunatamente la bassezza morale dei contenuti nonché la grande noia degli argomenti principali (ippica e Juventus su tutti) non sono gli unici difetti di Folle estate, che purtroppo si distingue anche per una punteggiatura assai zoppicante tipica degli scrittori esordienti (e degli editori senza editing), per un uso eccessivo dei punti esclamativi, per numerosi errori sulle maiuscole, per una gestione del tempo assolutamente poco efficace (paragrafi lunghi decine e decine di pagine senza interruzioni, neanche di una sola riga di separazione, e pur in presenza di salti temporali netti), per un narratore onnisciente, invasivo e spesso inopportuno…

… ma soprattutto, e questo a mio avviso è il principale punto dolente dell’opera, per un senso dell’umorismo assai scarso nonché per dei dialoghi assolutamente balbettanti e poco credibili in un duplice senso: il primo è un altro tipico errore degli esordienti, ossia il far dire ai personaggi le cose che il lettore deve sapere, senza tenere conto del fatto che il dialogo in quel contesto è insensato (perché magari il personaggio che ascolta dovrebbe già sapere quelle cose o perché comunque una persona che parla normalmente non si esprime in toni informativi tipo un telegiornale o un’enciclopedia).

Il secondo è che essi sono sovente improbabili anche per la saccenteria mostrata in essi, con discorsi lunghissimi, arzigogolati e davvero inverosimili sui più dotti argomenti: geografia, zoologia, medicina, storia, etimologie greche e latine, col tutto che dà l’idea di un autore che cerca di impressionare il lettore con qualche sprazzo di conoscenza.

Si noti peraltro che nel testo capita spesso che tali dialoghi “enciclopedici” siano affiancati a discorsi al contrario decisamente terra terra, per non dire rozzi, fatto che acuisce ulteriormente il senso di inverosimiglianza.

Forse l’unica cosa che si salva di Folle estate è una discreta padronanza della lingua di chi scrive, nonostante le ingenuità stilistiche di cui si è detto.

La conclusione della recensione è semplice: non vi consiglio di leggere Folle estate. A meno che, magari, non siate appassionati di ippica o di immoralità miste.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il signore delle illusioni (Delusion’s master).
Scrittore: Tanith Lee.
Genere: fantastico, drammatico.
Editore: Newton Compton.
Anno: 1980.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


Proseguiamo l’alternanza tra romanzi classici e romanzi fantastici: dopo I Malavoglia di Giovanni Verga, Hyperion di Dan Simmons e Il piacere di Gabriele D’Annunzio, arriva sul sito Il signore delle illusioni di Tanith Lee.

Si tratta di un libro che ho in casa da moltissimi anni, ormai, e che parecchi anni fa avevo iniziato a leggere, salvo poi desistere per manifesta noia.

Ci ho riprovato ora, sperando che la maggiore età avesse prodotto un cambiamento netto…

… speranza vana, visto che anche stavolta Il signore delle illusioni mi è risultato di difficile digestione, con la differenza che codesta volta perlomeno sono riuscito a terminarlo.

E dire che Tanith Lee è una scrittrice molto apprezzata (spazia tra fantasy, fantascienza e horror), e che proprio questo Ciclo de I signori delle Tenebre le ha assicurato un successo su scala internazionale.
Tuttavia, a quanto pare non è l’autrice adatta a me.

Ma vediamo la trama de Il signore delle illusioni, piuttosto sfilacciata a dire il vero: ci troviamo agli albori del pianeta Terra, abitato sia dagli uomini che da deità tanto potenti quanto malvagie, peraltro in lotta tra di loro.

Mi riferisco soprattutto a Azharn, Signore della Morte, e a Chuz, Signore delle Illusioni, nonché a tutte le persone prese di mira dai loro giochi di potere (la parola gioco non è usata a caso, visto che concepiscono la Terra e gli uomini come un campo da gioco in cui divertirsi a spese della sofferenza altrui): Nemdur, Jasrin, Zharet, Dunizel, etc.

Lo stile di scrittura è adeguato, evocativo e dal tono solenne, tuttavia è proprio la trama a sembrare debole: la storie si susseguono l’una dopo l’altra, a tratti noiose e a rari tratti interessanti, ma tutte prive di quella forza trascinante che hanno le grandi opere della letteratura.

I dialoghi non si distinguono per acume o originalità, e lo stesso i personaggi.
Come detto, ho fatto fatica a terminare il libro, nonostante esso non sia certamente lunghissimo.

Insomma, Il signore delle illusioni di Tanith Lee non mi ha convinto affatto, da cui la valutazione insufficiente.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il piacere.
Scrittore: Gabriele D’Annunzio.
Genere: decadentismo, drammatico, sentimentale.
Editore: Mondadori.
Anno: 1889.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


Proseguiamo, almeno per il momento, l’alternanza triangolare tra romanzi classici, romanzi fantastici (o comunque di svago) e libri di crescita personale: negli ultimi tempi abbiamo avuto sul primo versante Le ultime lettere di Jacopo Ortis, Madame Bovary e I Malavoglia, sul secondo Il castello d’acciaio, Il mago di campagna, Ardusli e gli gnomi dell’Appennino e Hyperion, e sul terzo La decima illuminazione, L’altro volto di Gesù, Akhenaton, il folle di Dio, La storia di Edgar Cayce e Gli annali dell’akasha.

Riequilibriamo i numeri con un classico, uno dei romanzi italiani più famosi di tutti i tempi: Il piacere, di Gabriele D’Annunzio.

Scritto nel 1889, Il piacere è stato, oltre che il più importante romanzo di D’Annunzio, anche il manifesto simbolo del decadentismo italiano, corrente culturale e letteraria in aperta rottura con il precedente positivismo intellettuale e naturalismo-verismo letterario (si veda soprattutto Giovanni Verga).

Tutto questo in una sorta di gioco di alternanze, dato che il positivismo-naturalismo ha di fatto separato le due correnti del romanticismo (per Europa cito Wolfgang Goethe, per l’Italia Ugo Foscolo) e del decadentismo, certamente differenti ma aventi comunque in comune una certa esaltazione delle emozioni e della vita vissuta.

Vita vissuta che, ne Il piacere diventa un vero e proprio culto per l’estetismo.
Il protagonista della storia, il dandy aristocratico Andrea Sperelli, sorta di soggettivazione letteraria dello scrittore stesso, difatti vive la vita come un’arte, col senso estetico che prevale su tutto, compresa la morale, dando luogo alla prima figura di eroe decadente italiano.

Il libro è diviso in quattro parti, suddivisi a loro volta in continui flashback, nei quali in sostanza si ripercorre la vita del giovane Sperelli, tra arte e amore.
Il romanzo mette in evidenza una dietro l’altra le sue numerose amanti: Elena, Ippolita, Maria, etc.

Il piacere è ambientato a Roma e dintorni negli anni tra il 1885 e il 1887, in un contesto politico turbolento, che fa da sfondo alle vicende di Andrea Sperelli.

Al di là del proprio gusto personale, che come dico sempre può far pendere verso D’Annunzio o verso Verga, verso Pirandello o verso Foscolo, vi è da dire che all'epoca il Vate ebbe un successo straordinario, non solo per i suoi libri, ma proprio come stile di vita, tanto da costituire una sorta di star ante litteram, sapendo costruire intorno a sé un’immagine e uno stile immaginifico e avventuroso e coltivando un vero e proprio pubblico “dannunziano”.

In quel contesto, probabilmente l’aspetto letterario passava in secondo piano.
Dovendo giudicare Il piacere in sé e per sé, comunque, va sottolineato come lo stile narrativo assai ampolloso e descrittivo oltre misura può affascinare o al contrario annoiare secondo i propri gusti, così come la figura di Andrea Sperelli e del suo stile di vita può interessare o al contrario infastidire.

Di mio, ai tempi in cui lessi Il piacere per la prima volta, ossia al liceo, gradii moltissimo il libro di Gabriele D’Annunzio, anche se poi devo dire che tale gradimento è andato un po’ scemando con gli anni.

Fosco Del Nero


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Titolo: Hyperion (Hyperion).
Scrittore: Dan Simmons.
Genere: fantascienza, fantastico, psicologico.
Editore: Mondadori.
Anno: 1989.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


Avevo a casa Hyperion di Dan Simmons da ormai qualche anno, ma non ne avevo mai iniziato la lettura, nonostante si trattasse tanto di un autore quanto di un libro caldeggiato dagli appassionati ed esperti del genere fantastico.

Si tratta, per la precisione, del primo libro di una saga di fantascienza denominata I canti di Hyperion e composta da quattro testi in tutto (si aggiungono a questo La caduta di Hyperion, Endymion e Il risveglio di Endymion), che racconta la storia dei sette viaggiatori-pellegrini alla volta delle Tombe del Tempo, misterioso manufatto forse proveniente dal futuro al quale è collegato l’altrettanto misteriosa figura dello Shrike, il "Signore della sofferenza", sorta di semidivinità la cui potenza è pari solo alla sua crudeltà.
O almeno così sembra, ma il tutto è piuttosto nebuloso.

In tutto ciò si inseriscono le lotte politico-diplomatiche tra Egemonia (ossia l'ente politico che governa i pianeti colonizzati), Ouster (umani mutanti ribelli) e Nucleo Centrale (le intelligenze artificiali che gestiscono la rete di teletrasporti tra i mondi), che rendono la situazione decisamente poco chiara e decisamente confusa.

Peraltro, Hyperion è costruito come un romanzo cornice (nello stile del Decamerone), il quale contiene le sette storie dei sette pellegrini, personaggi assai diversi e con un vissuto altrettanto diverso.

La bravura di Dan Simmons sta proprio nel rendere interessante tanto la storia principale, ossia il viaggio verso le Tombe del Tempo, quanto le storie di contorno, che poi sono ciò che ha portato i pellegrini al suddetto viaggio.

I sette viaggiatori sono: il padre Lenar Hoyt, il colonnello Fedmahn Kassad, il poeta Martin Sileno, lo studioso Sol Weintraub, l’investigatrice Brawne Lamia, il Console dell’Egemonia, il templare Het Masteen.

La storia è ambientata circa 600 anni nel futuro, in un futuro ipertecnologico nel quale l’umanità si è sparsa per tutto l’universo su pianeti e colonie varie, anche in ragione dell’esplosione di Vecchia Terra (a causa del cosiddetto Grande Errore), che ha costretto tutti all’Egira.

Se il romanzo ha un’ambientazione fantastica, è comunque molto forte la componente psicologico-relazionale, con i sette protagonisti costretti alla convivenza forzata e impegnati nel raccontarsi le rispettive storie.

Altra caratteristica di Hyperion è quella di citare in continuazione autori ed eventi del passato, ossia della nostra epoca, come ad esempio il poeta John Keats, la storia de Il mago di Oz, il compositore Richard Wagner, etc, in modo poco convincente e realistico tra l’altro (non ha senso che che tra 600 anni citino solo autori del nostro secolo).

Un altro neo del libro è che sulle prime la caratterizzazione dei personaggi è carente, tanto che per il lettore è difficoltoso collegare i nomi a un fisico, un carattere, etc.
Con l’andare avanti dei racconti, comunque, tutto si sistema.

Il difetto più grande del romanzo, tuttavia, è un altro (inquadrabile anche come un pregio, a seconda di come si voglia considerare la cosa): ossia il fatto che finisce proprio nel momento clou, allorquando i protagonisti, finite le “autobiografie” di presentazione, giungono nelle Tombe del Tempio a cospetto dello Shrike.

Passi che si tratta del primo libro di una serie, ma c’è un limite a tutto, e questo, se da un lato costituisce una testimonianza del buon lavoro preparatorio fatto da Dan Simmons col procedere della storia, dall’altro ne mina la valutazione, posto che non si può certamente dire che Hyperion sia un romanzo a se stante e autoconclusivo.
Il Premio Hugo vinto è probabilmente meritato, ma la scelta del tempo di chiusura è quantomeno discutibile.

Fosco Del Nero


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Titolo: I Malavoglia.
Scrittore: Giovanni Verga.
Genere: drammatico, verismo.
Editore: Einaudi.
Anno: 1882.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


Come sempre su Libri e Romanzi si alterna parecchio, passando dal fantasy serio (come Alvin l’apprendista di Orson Scott Card) al fantasy umoristico (Il castello d’acciaio di Lyon Sprague De Camp), dalla spiritualità romanzata (ad esempio La decima illuminazione di James Redfield) alla spiritualità in forma di saggistica (Gli annali dell’Akasha di Daniel Meurois-Givaudan), dalla fantascienza avventurosa (cito Il segreto del dr. Hodson di David Case) ai classici (l’ultimo capitato è Madame Bovary di Gustave Flaubert).

Quest’oggi torniamo tra i classici, con uno dei romanzi italiani più importanti in assoluto, peraltro simbolo di un intero movimento letterario: parlo de I Malavoglia, di Giovanni Verga, romanzo che rappresenta la corrente del verismo (a sua volta sorta di rappresentante nostrano del naturalismo francese).

I Malavoglia è datato 1882, ed è stato all’epoca un libro rivoluzionario, tanto nel tema quanto nello stile.

Riguardo a quest’ultimo punto, da sottolineare come Verga abbia introdotto nel narrato, ovviamente di lingua italiana, modi di dire tipici della regione in cui è ambientato, ovviamente la Sicilia.
Il gran numero di dialoghi, nonché il fatto che il narratore lascia parlare i suoi personaggi, non comparendo mai nel racconto, ha portato all’innovazione sopra detta, con un romanzo quasi “oggettivo”, che presenta molti personaggi ma che in qualche modo è privo di individualismo, come una sorta di ritratto espressivista.

Peraltro, la forte componente conservatrice lo pone anni luce lontano dalla vicina (anagraficamente parlando) corrente letteraria e culturale del romanticismo, con il suo sentimentalismo e il suo surrealismo (che spesso ha sfociato anche in un certo senso del fantastico, specie nel nord Europa).

Ma andiamo rapidamente alla trama de I Malavoglia: esso racconta la storia della famiglia Toscano (detta per l'appunto, "i Malavoglia"), una famiglia di pescatori che vive nel paesello di Aci Trezza, vicino Catania.
All’appello rispondono i vari Padron 'Ntoni (il capofamiglia, vedovo), Bastianazzo (suo figlio), Maria la Longa (la di lui moglie), 'Ntoni, Luca, Filomena, Alessio e Rosalia (i cinque figli della coppia).

Il loro principale mezzo di sostentamento è la Provvidenza, una piccola barca usata per pescare, che finirà al centro della vicenda, portando con sé una morale di fondo piuttosto triste, in perfetta sintonia col Ciclo dei Vinti, all’interno del quale figurava il romanzo suddetto: chi cerca di modificare il proprio destino andrà incontro a una sorte triste (ideologia dell’ostrica tipica di Verga).

All’interno del ciclo anche i romanzi Mastro don Gesualdo (scritto), La Duchessa di Leyra (cominciato), L'onorevole Scipioni e L'uomo di lusso (questi due mai scritti).

Detta la storia, ecco il mio parere: come sempre, e questo riguarda anche i classici, il gusto individuale porta a gradire un certo romanzo piuttosto che un altro.
Personalmente, per esempio, e rimanendo in tema di classici nostrani, apprezzo molto Pirandello e Svevo, mentre Verga mi risulta un po’ indigesto (a tratti molto indigesto).

La valutazione, dunque, positiva ma non troppo, riflette questo gradimento assolutamente personale, fermo restando l’importanza storica di Giovanni Verga e de I Malavoglia.

Fosco Del Nero


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Titolo: Gli annali dell’Akasha (Les annales akashiques - Portail des mémoires d’éternité).
Scrittore: Daniel Meurois-Givaudan.
Genere: spiritualità, saggistica, esoterismo.
Editore: Edizioni Amrita.
Anno: 2007.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


Gli annali dell’Akasha è il terzo libro di Daniel Meurois Givaudan che recensisco su Libri e Romanzi, precisamente dopo L’altro volto di Gesù e Akhenaton, il folle di Dio.

La differenze con i due precedenti testi è che quelli erano scritti sotto forma di romanzo, per quanto, stando alle dichiarazioni del loro autore, si tratta di visioni da egli avute durante l’esplorazioni dei piani dell’Akasha, sorta di piano spirituale contenente la memoria del pianeta, e dunque di qualunque evento mai verificatosi.

Il presente libro, invece, è un testo di saggistica, che illustra proprio come Daniel Meurois Givaudan ha scoperto tale possibilità esplorativa, descrivendo i suoi inizi e portando all’attenzione del lettore alcuni aneddoti significativi.

L’autore analizza così svariati aspetti della vicenda: il quando si è pronti per “vivere” gli annali dell’Akasha, i rischi connessi a ciò, la questione del tempo, la questione del karma, la differenza tra Akasha e Prana, etc.

Ne deriva un libriccino abbastanza agile, di circa 120 pagine, ma comunque denso di contenuti, scritto in modo tanto schietto quanto appassionato, che lascia a chi legge la sensazione che chi scrive sia sincero, anche per la grande prudenza con cui tratta la questione, onde evitare l’esplosione di bolle emotivo-spirituali portate come esempio di “esplorazione inopportuna”.

Nel complesso, Gli annali dell’Akasha di Daniel Meurois-Givaudan si rivela un testo interessante per chiunque voglia saperne un po’ di più sulla questione “viaggi nell’Akasha”, leggendo la testimonianza diretta di uno dei maggiori esponenti del fenomeno (che, lo ricordiamo, annovera anche grandi autori del passato come Edgar Cayce o Rudolf Steiner).

Fosco Del Nero


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Titolo: Ardusli e gli gnomi dell’Appennino.
Scrittore Giovanni Zavalloni.
Genere: fiaba, commedia.
Editore: Macro Edizioni.
Anno 2004.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


Ardusli e gli gnomi dell’Appennino è un libro che mi ha incuriosito da subito, un po’ perché ne avevo letto dei commenti positivi, e un po’ perché edito da un editore del settore miglioramento personale e non da un editore di narrativa.

Si prospettava dunque non solo una fiaba, ma anche un testo più profondo, magari di tipo esistenziale-spirituale o chissà cos’altro.

La curiosità iniziale tuttavia è stata in buona parte delusa, dal momento che si tratta in buona sostanza di una fiaba “made in Italy”, peraltro priva di un intreccio sufficientemente interessante, e anche mal gestita in quanto a tempi e conclusione.

In sintesi Ardusli e gli gnomi dell’Appennino racconta le vicende di Ardusli, il leader della comunità italiana di gnomi che risiede per l’appunto nell’Appennino italiano, in un suo punto non meglio precisato, al quale accede per puro caso Giovanni, che, scelto dallo stesso Ardusli, viene introdotto al mondo degli gnomi, alle loro usanze e alla loro esistenza.

Tramite Giovanni (o Gioaen, come lo chiamo lo gnomo) veniamo così a conoscere lo stile di vita degli gnomi, le relazioni sociali, il loro cibo, i loro lavori, la loro vita nei boschi, etc.

Ogni tanto fa capolino qualche accenno a tematiche omeopatiche, come le erbe, i cristalli, oltre che, ed era quasi ovvio, il rapporto privilegiato con la natura, ma nulla di più, tanto che, come detto, Ardusli e gli gnomi dell’Appennino si riduce a una fiaba per adulti (letteralmente, dato che scopriamo anche le tendenze sessuali degli gnomi, compresi gli gnomi omosessuali!) simpatica e leggibile, se vogliamo, ma non certo indimenticabile.

Concludendo, ribadisco quanto detto in apertura: dal libro di Giovanni Zavalloni mi attendevo qualcosa di più, e non avendovi trovato né un sostrato letterario di rilievo, né un testo di sviluppo personale importante ne sono rimasto inevitabilmente deluso (non dalla veste grafica, però, assai curata e gradevole).
A chi volesse procedere, comunque, buona lettura.

Fosco Del Nero


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Titolo: La storia di Edgar Cayce - Vi è un fiume (The story of Edgar Cayce - There is a river).
Scrittore Thomas Sugrue.
Genere: saggistica, biografia.
Editore: Anima Edizioni.
Anno: 1970.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


Un altro libro di saggistica su Libri e Romanzi, a metà tra la biografia e il romanzo: La storia di Edgar Cayce - Vi è un fiume, di Thomas Sugrue.

L’autore difatti da un lato ha messo nero su bianco tutte le testimonianze raccolte tra i documenti e tra coloro che conoscevano Edgar Cayce, e dall’altro ha dato al tutto un’impronta da romanzo, visto che il tutto è narrato sotto forma di storia, con tanto di dialoghi.

Per chi non sapesse chi è Edgar Cayce, è presto detto: egli è stato uno dei più grandi medium-sensitivi di tutti i tempi, e ha lasciato dietro di sé non solo un vaso numero di testimonianze di parenti, amici e semplici conoscenti sul suo talento, ma anche un’enorme mole di materiale scritto, raccolto nel corso degli anni tramite stenografie in presa diretta di quanto da lui detto durante i suoi stati di trance.

Cayce, infatti, era chiamato il “profeta dormiente” proprio perché le sue “letture”, come lui le chiamava, emergevano durante una sorta di trance profonda, tanto che non ricordava quanto detto in tali momenti.

Peraltro, durante le sue trance, egli, persona dall’educazione molto semplice, dava prova di grande conoscenza in svariati campi, medico soprattutto, fatto che ha lasciato a bocca aperta molti dottori del tempo, e che ha lasciato colme di gratitudine le migliaia e migliaia di persone che ha aiutato nel corso di decenni.

La cosa interessante è che tutto è stato documentato ed è ancora disponibile per chi volesse fare ricerche su Edgar Cayce e sul suo operato.

Cayce, tra le altre cose, era un devoto cristiano, e teneva anche dei corsi sulla Bibbia, seguitissimi da persone di svariate religioni.

Ora un commento sul libro, il quale è interessante per definizione visto che racconta la vita di un personaggio interessante (che tra le altre cose ha anche fatto “letture” sull’esistenza umana, sulla reincarnazione, su Atlantide, etc), ma che a tratti è un po’ noioso da portare avanti, anche perché lungo.

Alcuni suoi pezzi, inoltre, benché lodevoli dal punto di vista della completezza e della fedeltà (mi riferisco per esempio alle letture mediche riportare nella parte finale del testo) risultano proprio pesanti.

Tirando le somme, La storia di Edgar Cayce di Thomas Sugrue è una testimonianza bella e importante sulla vita di uno dei medium-guaritori più importanti e famosi di sempre, ma è un libro che dubito rileggerò.

Fosco Del Nero


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Titolo: Madame Bovary (Madame Bovary).
Scrittore: Gustave Flaubert.
Genere: realismo, naturalismo, drammatico, sentimentale.
Editore: Mondadori.
Anno: 1856.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


Tra i classici che si leggono al liceo c’è quasi invariabilmente Madame Bovary, il primo è più famoso romanzo di Gustave Flaubert (di cui ho già recensito Novembre), scritto nel 1856 al culmine del periodo illuminista-scientista-razionalista.

La corrente letteraria in cui esso si iscrive è quella del realismo, improntata al realismo più smaccato e contrapposta invece agli ideali romantici, a lungo dileggiati nel corso del testo.

Madame Bovary, pur avendo come personaggio centrale Emma Bovary, è in realtà un ritratto dello stesso Flaubert, nonché del periodo in cui esso è iscritto, fatto di razionalismo e scientismo, con al contrario una poco velata critica alla borghesia, alla religione, all’emotività in generale.

Ecco la trama per chi non la conoscesse: Emma è una giovane donna la quale, alla ricerca del benessere materiale e della felicità, sposa Charles Bovary, un ufficiale sanitario di mediocre talento ma sufficientemente agiato.

Il suo desiderio di vivere una vita brillante e il suo odio per la noia e per il viver comune la porterà tuttavia a gestire in modo disinvolto le proprie relazioni e le proprie finanze, che il marito, il quale l’adora, le lascia gestire.

Il risultato è drammatico su tutta la linea, sorta di prova letteraria dei prodromi alla base del romanzo (razionalità su romanticismo, istinto contro viver quieto).

Madame Bovary peraltro è stato ispirato a Flaubert dagli eventi reali accaduto a tale Delphine Delamare, donna di provincia di cui i giornali dell’epoca parlarono qualche anno prima della pubblicazione del libro.

Da tale fatto reale lo scrittore ha tatto un romanzo ormai storico, famoso per la sua cinicità e che già all’epoca gli valse il processo per oltraggio alla morale.

La novità narrativa di Gustave Flaubert, precursore del naturalismo, è stata quella di raccontare, oltre alle vicende, anche i pensieri, i sentimenti e i desideri di Emma Bovary.
Come spesso capita nel caso dei classici (penso per esempio ai nostri D’Annunzio, Verga, Pirandello, Manzoni, etc), il gusto individuale per questo o quell’autore, questa o quella corrente letteraria fa la differenza nel definire gradevole o meno un’opera.
A me Madame Bovary è sempre piaciuto, nonostante non sia certamente una lettura troppo allegra.

Fosco Del Nero


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Titolo: Akhenaton, il folle di Dio (La demeure du rayonnant - Mémoires égyptienne).
Scrittore: Daniel Meurois-Givaudan.
Genere: storico, drammatico, spirituale.
Editore: Amrita.
Anno: 1998.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


Un paio di settimane fa su Libri e Romanzi ha fatto la sua comparsa Daniel Meurois-Givaudan, autore tanto noto quanto controverso, e precisamente col libro L’altro volto di Gesù - Memorie di un esseno.

Stavolta è il turno delle “Memorie egizie”, col libro italiano che porta il nome di Akhenaton, il folle di Dio.

Ripeto brevemente quanto detto nella precedente recensione per dare un’idea ai lettori occasionali del sito di ciò di cui andiamo a parlare.
Difatti, Daniel Meurois-Givaudan è un autore molto particolare: egli sostiene di avere la capacità di consultare gli Annali dell’Akasha, ossia la memoria di tutto quanto mai avvenuto sulla Terra, in ogni luogo e tempo, tanto da poter testimoniare in presa diretta ciò che è realmente accaduto in determinati contesti storici.

Ecco così che egli si è messo a raccontare le vicende di alcuni personaggi storici importanti come Gesù, re Luigi XIV, o come Akhenaton, faraone egizio di circa 3500 anni fa.

Il punto di vista è quello di Nagar, studioso e guaritore nativo di Aleppo, voluto dal faraone in persona come guaritore e insegnante del nuovo corso spirituale che intendeva dare alla Terra Rossa (ossia l’Egitto) e all’umanità intera, a partire dalla città di Akhetaton, costruita a bella posta quale nuova sede reale in luogo della vecchia e corrotta Tebe.

Come nel caso di L’altro volto di Gesù, e presumo come per ogni libro di Daniel Meurois-Givaudan, la domanda è scontata: si tratta di narrativa o di quanto realmente avvenuto?
Nel primo caso siamo di fronte a un romanzo abbastanza avvincente e dai contenuti profondi.
Nel secondo caso a una straordinaria testimonianza di millenni fa, che peraltro si collega molto bene ad altri filoni di pensieri e di ricerca, tanto in campo spirituale quanto in campo cospirazionistico.

Lasciando al singolo lettore il formarsi una propria opinione in merito ad Akhenaton, il folle di Dio, di mio dico che ho preferito l’altro libro proposto perché più denso di contenuti di tipo formativo-spirituale, anche se il presente testo ha dalla sua il fascino dell’ambientazione egizia, che lo scrittore è bravo a rendere, tanto da calare chi legge nei dedali delle strade della città sede degli eventi.

Complessivamente, comunque, ho gradito anche questo Akhenaton, il folle di Dio (che, per i più curiosi, sarebbe il futuro San Francesco), tanto che probabilmente leggerò altri libri di Daniel Meurois-Givaudan.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il mago di campagna.
Scrittore: Claudia Bevilacqua.
Genere: drammatico, fantastico.
Editore: Verdechiaro Edizioni.
Anno: 1998.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


Il mago di campagna di Claudia Bevilacqua è un libro piuttosto strano: è un romanzo, ma la storia di fantasia che esso narra ha un sapore quasi esoterico, e compone un vero e proprio romanzo di formazione, incentrato sulla figura di Pietro, bracciante al soldo del ricco Gigli che, pian piano, scopre che la vita non è solo lavoro, soldi e successo sociale.

Anzi, egli lascia la sua posizione di capofattore dando seguito alle sensazioni sue e agli insegnamenti della strega Maddalena, in barba alle opinioni del popolino e dei suoi stessi familiari.

Lo stesso rapporto con la moglie Giona muta di pari passo col maturare di Pietro, che migliora la sua vita tanto nel lavoro, associandosi al “diverso” Giombretti, quanto nell’intimo, scoprendo che nell’esistenza c’è qualcosa di più di quello che sembra a prima vista.

Una cosa che colpisce in positivo de Il mago di campagna è la coerenza dei personaggi, tratteggiati in modo convincente e credibile, pur nei vari estremi presentati.
Anche l’ambientazione sociale è convincente, e cala il lettore nelle vicende narrate.

Ciò che convince meno, paradossalmente, è la cosa più semplice da curare: la punteggiatura, veramente pessima, in particolare nell’uso delle virgole, tanto da rendere alcune frasi illeggibili e da interpretare.
Fa capolino ogni tanto anche qualche errore di ortografia, che non fa onore a una storia raccontata in modo così vivace, colorato e “palpabile”, nonché affatto superficiale.

Complessivamente, Il mago di campagna è un libro interessante, che coinvolge e che si legge in fretta, anche se spesso dà la sensazione di avere in canna un colpo in più che però non parte mai.
Questo e la carenza a livello di punteggiatura ne limitano la valutazione, comunque positiva.

Fosco Del Nero


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