Il cammino del mago

Titolo: Dacon - Il delirio del male.
Scrittore: Federica D'Ascani.
Genere: horror, fantastico, religioso.
Editore: 01111 Edizioni.
Anno: 2008.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


Libero arbitrio, sogni premonitori, desideri sessuali repressi e fascino del male si intrecciano nel primo romanzo di una scrittrice emergente che, senza passare dalla gavetta dei concorsi di narrativa, partorisce un libro con momenti di eccezionale impatto visivo.

Federica D’Ascani, romana di Ostia, con i suoi 24 anni, tenta di gettare luce nell’abisso della perdizione, cercando di carpire i millenari segreti che spingono il demonio a seminare odio e violenza sulla Terra.

La scrittrice adempie il suo, non facile, proposito plasmando un soggetto che preferisce un taglio “adolescenziale” a uno più aulico (nonché esoterico-arcano). In tale ottica, rientra la giovane età di Nico (protagonista 18enne, a cui viene affiancato un prete esorcista dai modi tutt’altro che convenzionali) e il suo amore per una giovane che non lo contraccambia e che sta per soccombere al fascino del Maligno, ma anche i rapporti conflittuali tra teenager e genitori, le interrogazioni tra i banchi di scuola e molto altro ancora.

Tale impostazione, tuttavia, non deve far pensare il lettore a un romanzo “leggero”, perché, quando decide di affondare il colpo, la D’Ascani pittura scenari apocalittici capaci di suggestionare le menti dei non avvezzi a una certa narrativa.

La scrittrice, difatti, muove corde in grado di elettrizzare i nervi anche dei meno impressionabili. Non è però l’intrattenimento puro ad animare l’autrice.
Dacon - Il delirio del male è costituito da un forte intreccio che mette in relazione il male con l’amore, il tutto filtrato dal libero arbitrio. Sono questi tre elementi a determinare le sorti dei protagonisti e, in più larga scala, del mondo.
Tra i momenti di maggior gusto fantastico-orrorifico si citano le parti ambientate all’inferno (memorabile la descrizione relativa alla purificazione delle anime dannate) e il primo incontro tra Nico e Padre Giuseppe (interessante per le sue atmosfere tipicamente gotiche).

Certo, l’opera non è priva di passaggi non troppo convincenti anche se bisogna dare atto che tali decisioni risultano consapevoli e volute dall’autore.

In prima battuta, ad avviso del recensore, l’idea di strutturare l’opera in due parti non si rivela perfettamente riuscita. Da una parte non vengono giustificate talune cose (quasi come se si stesse vedendo un film), dall’altra si rivela forte il rischio di gettare il lettore in una sorta di confusione nonché, per i più smaliziati, nel destare un po’ di amaro in bocca (seppur non totale, grazie a alcuni escamotage messi in atto nella seconda parte).

In seconda battuta, non entusiasma l’idea di mettere quasi sullo stesso piano dell’uomo sia Dio che il Demonio.
I due rivali (soprattutto Satana, per la verità), infatti, interagiscono con i protagonisti con dialoghi, talvolta, fumettistici (altre volte ben congegnati). Ciò, se da un lato rende più “digeribile” la narrazione a un numero più ampio di lettori potenziali, diluisce l’orrore puro, in quanto sposta il “male supremo” da quella dimensione superiore (e incomprensibile per l’uomo) che conferisce l’alone di mistero all’occulto per collocarlo su un piano tangibile dai mortali. Il fatto che il protagonista abbia 18 anni, poi, amplifica questa sensazione.

Analizzati i “punti deboli” o comunque quelli che convincono meno, bisogna sottolineare il notevole impegno nel caratterizzare i personaggi. In Dacon non c’è un personaggio uguale all’altro. Ogni individuo ha le sue caratteristiche psicologiche e un suo background storico.
Per riuscire in tale operazione, la D’Ascani paga qualcosa sul piano del ritmo, ciò nonostante riesce a far vivere all’autore le sensazioni dei suoi personaggi. Inoltre, grazie a uno stile scorrevolissimo e asciutto, l’autrice esorcizza il demone della noia.
Quanto allo stile narrativo, si rivelano notevoli (e mai volgari) le descrizioni dei momenti erotici (che contraddistinguono la prima parte).

Peccato per la mancanza di editing.
Infatti, nonostante il talento dell’autrice (lo si ricorda, alla sua prima opera), sono ravvisabili diversi refusi, “d” eufoniche dove non dovrebbero esserci, avverbi superflui, apostrofi al posto di accenti e assenza di rientri a inizio capoverso.

Per i curiosi, si rilevano varie citazioni alcune delle quali esplicite (Il monaco di Matthew Lewis, Nightmare, Dylan Dog, Il ritratto di Dorian Gray) altre indirette e forse involontarie (Hellraiser 3, Il presagio, Constantine).

Una menzione particolare per la fotogenica copertina, raffigurante un demone che digrigna i denti.

In definitiva, siamo alle prese con un romanzo, a cavallo tra l’horror e il fantasy, incentrato sul tema del libero arbitrio e dell’influenza che esso ha sulle sorti degli uomini.
Federica D’Ascani è di sicuro un’autrice da tenere sott’occhio, dotata di indubbi margini di miglioramento e già capace – come dimostrano le discrete vendite garantite da Dacon – di ottenere un certo interesse.
Chi fosse interessato a leggere qualcosa dell’autrice, segnalo il suo sito.

Matteo Mancini


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Titolo: Gli indagatori dell'incubo.
Scrittori: Robert Ervin Howard, Howard Phillips Lovecraft, Seabury Quinn, Manly Wade Wellman, William Hope Hodgson.
Genere: horror.
Editore: Newton Compton.
Anno: 1993.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


Piccola antologia facente parte della collana100 pagine, 1000 lire” che si rivolge a tutti coloro che intendono avvicinarsi a un certo tipo di narrativa.

Come si evince dal titolo, a farla da padrone è la narrativa dell’orrore, non l’orrore “adolescenziale” bensì quello con la “O” maiuscola.
Vengono proposti al lettore cinque storie che portano le firme di altrettanti maestri del genere.

L’elaborato più inquietante esce dalla penna di H.P. Lovecraft con il suo L’innominabile (The unnamable, 1925), storia capace di evocare immagini che paiono coinvolgere direttamente il demonio.
Due amici, infatti, parlano davanti a una casa su cui grava una strana leggenda che vorrebbe la presenza di una creatura antropomorfa con corna e zampe zoccolate.
Scesa la notte, i due uomini toccano con mano l’incubo che lascerà impressi sui loro corpi una firma indelebile.

Interessanti, sotto il profilo esoterico, sono anche L’anello di William H. Hodgson (The gateway of the monster, 1911) e La palude di Robert E. Howard (Skulls in the stars, 1929).
Nel primo racconto un indagatore dell’occulto disinfesta una casa stregata, trovando la porta che permette ai demoni di penetrare nell’abitazione. Si tratta di un anello pentagonale, appartenente a una famiglia nobile, custodito tra le assi dei pavimenti. L’oggetto è stata maledetto…

Nell’opera di Howard, invece, ci imbattiamo nello spettro di un uomo che si aggira nella brughiera in cui è stato assassinato per uccidere chiunque vi si addentri.
Un forestiero placa la rabbia dell’anima dannata, scoprendo il mistero della sua morte e facendo arrestare l’assassino.

Di spessore anche Il rondache di Leonardo di Manly W. Wellman (The Leonardo rondache, 1938) che ci propone una storia abbastanza originale, anch’essa a sfondo esoterico.
Un collezionista di opere d’arte acquista un misterioso rondache firmato da Leonardo da Vinci. L’opera è costituita dalla raffigurazione di un mostro alato con zampe di ragno e corpo di lucertola e una spirale tripla riportante i nomi di demoni.
L’uomo legge in senso antiorario l’elenco, evocando la creatura mostruosa raffigurata…

Completa l’antologia l’elaborato, forse, più famoso del lotto, vale a dire Le mummie di Seabury Quinn (The house of unholy magic, 1933).
In esso un ex colonnello, appassionato di occultismo, rianima i corpi di tre mummie egizie con la convinzione che in una di esse fosse stata imprigionata l’anima di sua figlia, ormai defunta.
Una volta riportate in vita, le creature assalgono i cittadini del posto, per nutrirsi di sangue…

In definitiva siamo alle prese con cinque storie che strizzano l’occhiolino a quell’ "orrore magico” che solo i riferimenti all’esoterismo e all’adozione di un certo stile narrativo riescono a plasmare.
Tutti i racconti possono essere trovati raccolti in antologie a più ampio raggio, pertanto il libro può ritenersi consigliabile a tutti coloro che vogliono avvicinarsi a questo tipo di narrativa.

Matteo Mancini


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Titolo: La leggenda di Redenta Tiria.
Scrittore: Salvatore Niffoi.
Genere: fiabesco, commedia, satira, fantastico.
Editore: Adeplhi.
Anno: 2005.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


Era da tempo che volevo leggere La leggenda di Redenta Tiria, romanzo che ha reso famoso Salvatore Niffoi, scrittore sardo che ha pubblicato prima per il Maestrale e poi per Adelphi.

Del libro sapevo solo che il genere era vagamente fantastico, seppur di un fantastico applicato al tessuto culturale della Sardegna dell’interno.

In effetti, in La leggenda di Redenta Tiria vi è qualche contenuto immaginifico (la voce che invita gli abitanti di Abacrasta al suicidio, nonché la stessa Redenta Tiria che poi interviene proprio per evitare tali suicidi), per quanto il genere letterario non sia tanto il fantastico fiabesco che mi attendevo, ma piuttosto una sorta di satira sociale sui costumi dell’entroterra sardo.

Occorre dire comunque che non si tratta di un romanzo, ma di una serie di aneddoti-racconti, accomunati solo dal fatto di essere ambientati negli stessi luoghi (i paesi di Abacrasta, Noroddile, Gospotolò, etc).

Luoghi che sarebbero la Barbagia sarda, anche se i nomi di paesi e persone sono non sardi, ma solo “di stile” sardo.

Lo stesso linguaggio narrativo è meticcio, con un italiano che lascia spesso spazio a parole e modi di dire isolani.

Quanto ai racconti, sono spesso gustosi e saporiti, misto tra commedia, drammatico, comico e satirico.

Ciò che più colpisce, alla fine della fiera, è proprio il senso del satirico-ironico di Niffoi, che descrive con disinvoltura e leggerezza abitudini, usanze e comportamenti barbaricini, adornando le sue novelle di quel vago elemento fantastico di cui si è accennato in apertura.

Insomma, La leggenda di Redenta Tiria di Salvatore Niffoi è una lettura curiosa e divertente (a sprazzi irresistibile).

Fosco Del Nero



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Titolo: Il dilemma di Drizzt (Homeland).
Scrittore: R. A. Salvatore.
Genere: fantasy.
Editore: Armenia.
Anno: 1990.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


Diverse persone amanti del genere fantasy mi avevano parlato bene di R.A. Salvatore, uno degli scrittori contemporanei più apprezzati nel settore, e autore di numerosi cicli di successo.

Alla fine, dunque, ho colto l’occasione per leggere un suo libro, e la scelta è ricaduta su Il dilemma di Drizzt, romanzo del 1990 e primo libro della Trilogia degli elfi scuri.

Dico anche, per chi fosse interessato, che l’ambientazione è quella di Forfotten Realms, legata ai giochi di ruolo da tavolo e ai videogiochi (si pensi a Baldur’s Gate o al bellissimo Torment).

E non posso che aggiungere che, ad oggi, R.A. Salvatore ha dedicato, tra trilogie e quadrilogie varie, ben ventun romanzi (21!) a Drizzt Do'Urden.

O, secondo il nome esteso, Drizzt Daermon N'a'shezbaernon, guerriero drow della casata Do'Urden.

Questo primo romanzo racconta l’infanzia e l’adolescenza del giovane elfo scuro, delle angherie subite in famiglia e del destino che la sua casa, con in testa Matrona Malice, voleva che lui seguisse.

Un destino infausto per Drizzt, affatto concorde con la morale e gli usi degli elfi scuri, razza violenta e crudele, devota alla guerra e al prestigio sociale.

E questo è proprio il punto centrale del romanzo: le dinamiche sociali, con le usanze e le gerarchie dei drow riportate minuziosamente.

Particolarmente interessante risulta la descrizione del matriarcato presente in seno alla società degli elfi scuri, abitatori del cosiddetto Buio Profondo, ossia la caverne sotterranee in cui si sono rifugiati da millenni dopo la guerra con gli elfi chiari (ed altre creature della superficie).

Drizzt, alla fine, rifiuterà Menzoberranzan, la sua città natia, e la stessa Regina Ragno, Loth, la divinità venerata dai drow.

In definitiva, Il dilemma di Drizzt di R.A. Salvatore è romanzo che mi è piaciuto abbastanza, e che propone un fantasy bizzarro, costeggiato di personaggi negativi (in sostanza, tutti tranne Drizzt e il suo maestro Zaknafein) e per questo contenente in sé il germe della ribellione e della moralità.

Un libro di formazione interessante, benché assai cupo nei tono e negli eventi (si veda per esempio il massacro degli elfi chiari).

Fosco Del Nero


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Titolo: Il canto dell’abisso (Drowntide).
Scrittore: Sydney Van Scyoc.
Genere: fantastico, fantascienza, fantasy.
Editore: Mondadori.
Anno: 1987.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.


Il canto dell’abisso, ovvero Drowntide, è un romanzo scritto dall’americana Sydney Van Scyoc (classe 1939) nel 1987 e pubblicato sulle pagine della collana Urania nell’aprile del 1989.
Nonostante il marchio Urania, siamo alle prese con un elaborato fantastico - al limite del fantasy - dove la fantascienza si limita a un piccolissimo cenno incidente sul contesto ambientale.

L’autrice proietta il lettore in un mondo alieno, quasi integralmente ricoperto dalle acque, dove vari secoli prima l’uomo e i cetacei sono immigrati (su vascelli di fuoco) per fuggire da un pianeta Terra ormai sull’orlo del collasso.
In questo scenario, troviamo sviluppati molti dei temi cari alla Van Scyoc. Abbiamo una serie di relazioni sociali tra umani-alieni, ma anche soggetti interraziali capaci di sintetizzare le caratteristiche delle varie razze e il tema relativo alla rivalutazione di culture considerate inferiori.

Protagonista dell’intreccio è un meticcio, nato dall’incrocio tra un umano e un acquatico (umanoide che vive nell’oceano a cavallo di balene giganti) che viene incaricato di trovare la sua giovane sorella. La missione è di vitale importanza per la sua cittadina, perché si pensa che la ragazza – rapita al momento della nascita dal padre e mai più vista dalla madre – abbia la capacità di comunicare telepaticamente con i cetacei e quindi di condurre i pescatori verso rotte sicure (lontane dalle minacce dei rettili che si celano sotto le acque dell’oceano).
Ha così inizio un lungo e mirabolante viaggio, in cui il ragazzo scoprirà cose del suo passato e imparerà ad apprezzare aspetti culturali di razze diverse che fino allora quasi disprezzava.

Il romanzo fa leva su uno stile molto elegante che ricorda la narrativa del primo dopo guerra. La Van Scyoc cura molto il lessico, abbondando con descrizioni scenografiche e regalando velati omaggi alla narrativa lovecraftiana (gusto per la decadenza e gli ambienti solitari, nonché per le statue di creature mitologiche) e al cult La terra dell’eterna notte di W.H. Hodgson (da cui viene presa l’idea di un ambiente immenso e pieno di pericoli, in cui i protagonisti si muovono comunicando telepaticamente tra loro).

I primi capitoli partono in sordina, ma l’evolversi dei fatti porta a un crescendo d’intensità con una caratterizzazione dei personaggi tale da fare affezionare lo spettatore a ognuno di essi (alla fine sorge un pizzico di nostalgia per i personaggi che si dovranno abbandonare).
Interessante l’evoluzione che subisce il protagonista il quale, a mano a mano che prosegue la sua missione, impara ad apprezzare una cultura diversa dalla sua fino a smarrire quelle certezze che credeva incontestabili.
Degno di nota anche il rapporto che si viene a creare tra il ragazzo e una giovane acquatica.

Non mancano momenti onirici (memorabile la scena delle vasche, con alghe marine capaci di mostrare i pensieri ancestrali dei cetacei, e quella dei balli con centinaia di serpenti che fuoriescano dall’oceano per contorcersi sui corpi di giovani ragazze nude) e una piccola spruzzatina erotica, il tutto condito da una costante atmosfera poetica.
Gli ultimi capitoli diventano di una malinconia commovente e trasudano una sensibilità tipicamente femminile.

Molto bella e di alto contenuto drammatico la parte in cui il protagonista si trova a dover “combattere” con un “hiscapei” avvinghiato sul corpo della sorella. Lo “hiscapei” è una specie di sirena (seppur dalle forme non umane) che se ne sta isolata e ancorata sul fondo marino a lanciare urli capaci di ipnotizzare le prede e condurle nei suoi tentacoli.
Occorre, infine, dare atto alla Van Scyoc di aver evitato di rendere prevedibile la trama, grazie a una serie di snodi inseriti ogni qualvolta si possa iniziare a delineare una certa piega narrativa.

Menzione particolare per la splendida ed esaustiva copertina di Vicente Segrelles, in grado di riassumere assai bene ciò che si ritroverà nelle 182 pagine del libro. Il disegnatore spagnolo, infatti, pittura in primo piano una ragazza - in riva al mare - accerchiata da quattro serpenti (hanno la funzione di intensificare i poteri telepatici); sullo sfondo notiamo un uomo (il protagonista), alle cui spalle si staglia l’enorme massa di un cetaceo (i cetacei del libro sono una sorta di cavalli dell’oceano, anche se più intelligenti in quanto in grado di comunicare mentalmente con i loro “cavalieri”).

Lettura consigliata a tutti gli amanti del fantastico.

Matteo Mancini


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